Nei giorni in cui il Covid-19 imperversava per il mondo, quando i morti si sommavano e la curva dei contagi s’impennava e non sembrava possibile che riscendesse, ci si è illusi che l’umanità potesse uscire migliorata da questa prova. La pandemia avrebbe risvegliato una qualche alta morale, laica, ecologista, solidaristica che avrebbe accompagnato tutti gli uomini nel loro continuo peregrinare sul pianeta. Sono bastati pochi giorni – a dire il vero – affinché tornassimo alla nostra normale bestialità.
Se non la pensi come me caro lettore, «ipocrita lettore, – mio simile, – fratello», vorrei portarti con me a Minneapolis, Stati Uniti d’America, la patria delle democrazie occidentale per farti vedere la morte di George Floyd, 46enne afroamericano ucciso brutalmente da quattro poliziotti, per ora ultimo di una lunghissima lista. Sicuramente ne avrai sentito parlare, perché il video è diventato subito virale in rete. Magari, caro lettore, «ipocrita lettore, – mio simile, – fratello», lo hai visto anche tu se le immagini troppo crude non ti hanno fatto spegnere lo smartphone o passare al post successivo. Provo a descrivertelo ma le parole non riusciranno mai a superare le immagini e, quindi, se ne avrai il coraggio guardalo dopo aver letto questo articolo.

La scena si apre con un povero afroamericano, George Floyd, bloccato a terra da un poliziotto che gli immobilizza la testa con un ginocchio. Siamo in pieno giorno in una strada di Minneapolis. I passanti spaventati cominciano a riprendere la macabra scena e a inveire contro le forze dell’ordine. Il povero malcapitato urla: «Please, I can’t breathe. My stomach hurts. My neck hurts. Everything hurts. They’re going to kill me». Nulla pone fine a quella violenza, né le sue suppliche né l’indignazione delle persone vicine. I poliziotti continuano fino a quando George muore. Ripeto: per ora ultimo di una lunghissima lista.
Molti poliziotti statunitensi hanno preso le distanze dai loro colleghi con video sui social mentre Minneapolis brucia per le veementi proteste della comunità afroamericana. Alla violenza si risponde con altra violenza, che purtroppo si spinge anche ben oltre il consentito. Succede, però, caro lettore «ipocrita lettore, – mio simile, – fratello», quando si oltrepassa quella oramai sottile linea di confine tra il giusto e l’ingiusto, il lecito e l’illecito.
Gli USA non s’identificano solo con New York e Los Angeles. Tra le due coste si dipana la più grande liberal democrazia occidentale, modello di civiltà ed esempio del progresso tecnologico, con tutte le sue contraddizioni sociali. Ancora oggi, negli Stati Uniti, lo stesso Stato che esporta democrazia e si è prefisso il compito di estendere la cultura occidentale in tutto il mondo, se sei un afroamericano rischi di morire per un sospetto, come è successo a George Floyd. I fatti saranno accertati da un regolare processo, nel rispetto della forma giuridica ma l’ennesimo assassinio resta ad insanguinare una bandiera non propria immacolata (come tutte le bandiere). La richiesta di una condanna esemplare, figlia di un moto emotivo, può essere interpretata come una reazione spropositata mentre condividiamo i nostri post solidari verso George. Ma non sarà un post, un like o un articolo come questo, a non farci sentire tutti degli assassini «hypocrite lecteur, – mon semblable, – mon frere!» (Baudelaire)