giovedì, Aprile 24, 2025

L’europeismo assurto a ideologia

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L’imbarazzante immobilismo della retorica politica che incessantemente ingolfa i canali informativi ai quali tutti noi ci abbeveriamo è un veleno. Siamo ormai lobotomizzati, spersonalizzati, stereotipati nel modo di pensare, di costruire ragionamenti, completamente privi di qualsivoglia spirito critico.

D’altra parte, il suddetto requisito non si pretende sia posseduto dalla maggioranza dei cittadini, ma, per chi ci governa, esso dovrebbe costituire un presupposto essenziale. E invece, ovunque si volgano sguardi e orecchie, le solite cantilene, copioni imparati a memoria per essere dati in pasto ad ascoltatori disattenti e impreparati da pseudo politicanti imbellettati e incravattati.

L’idea, sentendo parlare questa genìa di statisti, è che ne capiscano meno di coloro che dovrebbero rappresentare. La sensazione è che a tutti sia stata data una parte da recitare a memoria. Imbeccati o meno che siano, se il contesto politico e socio-economico in cui siamo immersi non presentasse le ben note criticità, saremmo forse portati a farci un’ironica risata. Questa è sostituita invece da una smorfia di paura e da fremiti di rabbia, considerando che in un momento del genere occorrerebbe gente dotata di carisma, di coraggio, di una visione del futuro che non sia eterodiretta da forze estranee all’interesse nazionale. Tuttavia, gente di una tale statura appare ben lungi dal poter assurgere in tempi brevi agli scranni delle casematte decisionali, oggi manovrate ad arte dalla “Corte dei Conti” di Bruxelles.

Ciò che colpisce non è tanto lo smantellamento della nostra sovranità politica ed economica ad opera dei burocrati europei, ma, per alcuni, è l’assoluta mancanza di coscienza su ciò che accade, per altri, è la totale assenza di coerenza tra ciò che si denuncia e ciò che si propone che fa impressione.

All’interno dello stagnante spettro della politica italiana, nonostante non manchino critiche nei confronti dell’Unione Europea e dell’euro, la messa in discussione radicale di tali totem sembra rimanere un tabù invalicabile; tutti i partiti di “sistema” continuano invariabilmente a professare una fede rocciosa nei confronti di queste divinità. La blasfemia è intollerabile, pena la scomunica che condurrebbe al fallimento totale. Se usciamo dall’euro sarà il baratro, ci ripetono. Meno male che qualcuno ci avverte, noi che pensavamo di esserci ora in quel baratro. L’euro è stata una manna, ci ha salvati. Salvati da cosa? Il punto è semplice: nessuno qui vuole assumere un’aprioristica posizione antieuropeista, ma si vuole denunciare ciò che nell’attuale assetto dell’Europa non va. Quasi tutto.

Da vent’anni ci sentiamo ripetere un altro ritornello: quello della fine delle ideologie. Anche questo è falso. Una nuova forma di dogmatismo, asfissiante, cieca, sta strozzando il futuro e le speranze delle generazioni a venire; una nuova ideologia, determinata, menzognera, sta invadendo prepotentemente la nostra cultura: l’europeismo, quello a tutti i costi, quello senza se e senza ma. Un’ideologia che sacrifica sull’altare di una falsa idea persone in carne ed ossa, cancella loro la dignità, elimina scientemente le possibilità di sviluppo e benessere futuri. E in nome di che cosa? Di una folle e insensata dogmatica ultramonetarista, che appare sempre più figlia diretta di un progetto ben preciso di cui l’euro è stato ed è tuttora lo strumento cardine: la spoliazione delle risorse di interi popoli e Paesi facendosi scudo con il nobile fine della costruzione dell’Europa unita, sorvolando guarda caso sul perché essa sia stata unita solo dal punto di vista monetario.

Quale benessere vi è nel dover pagare con le nostre tasse non dei servizi di ritorno, ma i crediti di banche straniere? Quale benessere vi è nel destrutturare il nostro comparto produttivo per far sì che i mercati vengano egemonizzati dalle produzioni dei Paesi più forti come la Germania? Quale benessere può derivare da una totale perdita di sovranità monetaria essendo costretti ad utilizzare una moneta, di fatto straniera, acquistabile unicamente sui mercati privati a tassi di interesse “elevati” e non più stampabile in maniera indipendente per immettere ricchezza nella società? Potremmo continuare, ne avremmo per molto. Questa Europa non è l’Europa dei popoli, non è costruita per garantire prosperità, ha delle basi democratiche fittizie, con un Parlamento europeo sostanzialmente senza poteri e una Commissione (non eletta democraticamente) che rappresenta il vero centro decisionale. Impone diktat senza alcuna possibilità di negoziazione, evita come la peste iniziative referendarie per paura di clamorosi fallimenti o le aggira a pronunce già emesse. Se l’europeismo significa dover accettare queste ed altre costrizioni meglio tornare, per il momento, a coltivare il buon vecchio orticello nazionale.

La storia stessa ci insegna che non vi è un finalismo ultimo. Imperi, monarchie, istituzioni, società, tutto è nato e tutto ha avuto fine. L’Europa non è una necessità della storia, almeno questa Europa. Per salvare una moneta che ci ha fatto diventare schiavi e che è stata ideata per servire ben altri fini, stiamo rinunciando ad un benessere che ci siamo guadagnati, pur con tutte le nostre contraddizioni, grazie alla costruzione di una nazione libera, indipendente, sovrana. Tutto ciò è una follia e, cosa ancor peggiore, nessuno ha ancora il coraggio di mettere seriamente in discussione questa scellerata e distruttiva religione. L’Europa avrebbe dovuto essere un mezzo e non un fine.

Il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni”. Lo diceva Bismarck. Purtroppo, ci sono ancora troppi politici in giro.

Davide Parascandolo

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