L’ Africa settentrionale è, da qualche mese, teatro di scontri e lotte per le sommosse popolari che da Tripoli al Cairo tentano di abbattere i rispettivi regimi autocratici. Regimi, che pur nelle diverse specificità, sembrano ormai essere giunti alla fine.
La lotta per la democrazia sembra essersi riaccesa, in quei luoghi, dove le rivolte nazionali per l’indipendenza contro il colonialismo europeo avevano portato solo ad altri, e per certi aspetti peggiori, regimi dispotici.
Il vento della rivolta è cominciato in Tunisia, nel mese di dicembre, dove un gruppo di studenti, utilizzando il web, strumento che sembra aver un ruolo centrale nell’organizzazione di queste nuove forme di protesta, si sono riuniti e hanno cominciato a manifestare contro il regime di Ben Alì. La protesta ha condotto alla fuga del dittatore. Sconfitto il despota, ora sembra che la Tunisia stia attraversando un momento di costruzione di quello che sarà il suo nuovo assetto democratico. Sempre grazie ad internet, la rivolta tunisina si è spostata lungo le coste del mediterraneo, coinvolgendo lo spirito di altri popoli, che si sono ribellati al potere assoluto e al governo dispotico dei singoli tiranni. Anche l’Egitto è stato in balia dei movimenti insurrezionali, che in meno di un mese hanno provocato la fuga dal paese dell’ormai ex presidente Mubarak, in Italia conosciuto come lo zio di Ruby (ma questa è un’altra storia). In questi due paesi la situazione è sembrata fin da subito sotto controllo da parte dei rivoltosi, tanto da non destare troppa preoccupazione per i Paesi occidentali. Questo perché l’esercito si è schierato immediatamente dalla parte dei rivoltosi, abbandonando il vecchio regime.
Il vento della rivolta ha trovato ostacoli diversi nel corso della sua impetuosa marcia. Infatti le cose stanno andando in modo diverso in Iran e in Libia. Le proteste scoppiate a Theran sono state subito, e forse troppo facilmente, soffocate dal regime, tanto che qualsiasi forma di manifestazione è stata dichiarata illegittima e qualsiasi agitatore fuorilegge.
In Libia, la situazione è ancora più grave, perché il regime resiste pagando il peggiore dei prezzi: il massacro del proprio popolo. E Gheddafi non intende affatto lasciare il suo posto, anzi continua a lanciare messaggi di vittoria fomentando solo la guerra civile.
La rivolta libica è cominciata a Bengasi, una piccola cittadina libica, dove l’appoggio dell’esercito si è fatto un po’ attendere ma alla fine è arrivato. Ma sembra non bastare. Infatti, Gheddafi ha arruolato un immenso numero di mercenari provenienti da tutta l’Africa (Ciad, Somalia, Nigeria e Sudan ), pagati fior di dollari, non solo per l’appoggio in sé ma anche in base ai cadaveri portati al regime. I cadaveri. Già, i cadaveri sono una delle ambiguità maggiori di tutta la protesta libica. Sembra non ci siano fonti attendibili, circa il numero effettivo dei morti. L’unica cosa certa, oltre alle lacrime dell’ambasciatore libico alle Nazioni Unite, per i suoi compatriotti morti, sono le bombe lanciate sulla folla in protesta a Tripoli. Pare che Gheddafi abbia dato l’ordine di bombardare sulla folla.
A queste notizie, tutti si aspettavano immediate prese di posizione da parte delle organizzazioni Internazionali. Ma la voce degli occidentali si è fatta attendere. Solo venerdì 25 febbraio sono state chiare le intenzioni degli U.S.A., che attraverso le parole del presidente Obama hanno dichiarato di voler avanzare sanzioni di tipo economico, attraverso il congelamento di tutti i beni appartenenti al dittatore libico. Finalmente, l’America ha fatto il primo passo. Successivamente, è stata la volta delle Nazioni Unite, che commosse dalla supplica d’aiuto dell’ambasciatore libico Mohammed Shalgham, hanno intenzione di avviare un procedimento che porti a una risoluzione del conflitto libico.
La rivolta libica sembra preoccupare molto i Paesi occidentali, primo fra questi l’Italia, data l’ingente mole di accordi che Gheddafi ha firmato con l’Occidente del mondo. La materia pregnante di tutti i trattati era l’economia. Ed i Paesi occidentali non si sono fatti molti scrupoli a trattare con un dittatore che calpestava i diritti umani. Del resto, Gheddafi non ha mai fatto mistero della natura dispotica del suo regime. Ma chi doveva vedere ha chiuso gli occhi pur di avere agevolazioni sull’esportazione di gas e petrolio o controlli maggiori da parte dello stesso governo del Rais sull’immigrazione clandestina verso le coste italiane ed europee. Forse, i governi europei dovevano preoccuparsi non solo di importare energie materiali dalla Libia ma anche esportare verso la Libia ciò che dovrebbe distinguerci dai regimi autoritari: la libertà.
Intanto il Rais Gheddafi non desiste dalla lotta contro i ribelli, invocando la parte di popolazione che gli è rimasta fedele, richiamandola a quell’antico spirito rivoluzionario libico, che era stato la fonte della rivoluzione contro il colonialismo europeo. In proposito, egli non perde occasione per attaccare i suoi ex amici, come l’Italia, accusandola, insieme agli americani, di aver fornito le armi ai ribelli per la rivolta. Allo stato attuale, il governo dispotico di Gheddafi non ha nessuna intenzione di lasciare il posto ad una nuova forza costituente, anzi si ostina a continuare la sua battaglia, dimostrando come il potere assoluto conduca solo ed esclusivamente alla pazzia; intanto, gli uomini continuano a cadere, sotto i colpi dei fucili.
Tutto l’Occidente spera che la guerra civile in Libia finisca senza ulteriori spargimenti di sangue e che il popolo libico, insieme con tutte le popolazioni del mediterraneo, ottengano questa tanto agognata “democrazia”. Quale democrazia? Non potrà, però, essere una generica democrazia, perché chiamare un governo democratico, non pesa molto a nessun governo dispotico; è auspicabile che le democrazie, che sembrano voler nascere nei paesi dell’Africa settentrionale, non siano delle teocrazie travestite, ma siano informate di quei valori essenziali per garantire le libertà degli individui e che non siano catturate nell’orbita del fondamentalismo islamico.
Vito Varricchio