Vincenzo Cuoco e il totalitarismo giacobino

Per gentile concessione dell’autore e della redazione Archivio Storico del Sannio , riceviamo e pubblichiamo volentieri di seguito il saggio del prof. Ludovico Martello Vincenzo Cuoco e il totalitarismo giacobino ( tratto da Archivio Storico del Sannio anno XII n°1 gennaio - giugno 2007 ESI Napoli)

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Il caso Cuoco

“ Era insomma un riformista, non un rivoluzionario”2. Netta e precisa come una rasoiata questa descrizione – formulata da Indro Montanelli – della natura politica dell’ autore del Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli. Proprio come il rasoio di Occam, il giudizio formulato da Montanelli delimita anche se non risolve del tutto la disputa secolare sul “caso Cuoco”.

“ Il caso Cuoco ha sempre occupato un posto di grande rilievo nella storia del pensiero politico italiano degli ultimi due secoli. – spiega con magistrale sintesi, che val la pena leggere nella completezza dell’intero brano, Vinvenzo Ferrone – Intorno al Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli si sono, infatti, combattute aspre battaglie interpretative che hanno contribuito non poco al processo di formazione della coscienza storica di tante generazioni di italiani. Di vol­ta in volta quello straordinario testo è stato letto, apprezzato o valutato negativamente, per intero o in sue specifiche parti, da moderati e da ra­dicali, da cattolici e da laici, da democratici e da liberali, da fascisti e da comunisti. Con la critica di Cuoco ai repubblicani del ‘99, presentati come eroi generosi, ma sprovvisti di un’autentica e realistica cultura rivoluzionaria, hanno fatto i conti, subendone spesso e volentieri il fascino, Manzoni, Foscolo, Gioberti, Mazzini, Pisacane, sino a Croce e Gentile. Attraverso il Saggio storico, la Repubblica del ‘99, con la sua terribile con­clusione in un bagno di sangue ad opera dei Borbone e dei sanfedisti, è divenuta di fatto un evento cruciale e periodizzante della storia dell’Italia moderna.

Generalmente – egli prosegue – si è visto nella riflessione del geniale molisano, (…), il pensiero di un moderato capace di denunciare precocemente il mito delle rivoluzioni dall’alto, di cogliere i primi segni del nascente spirito patriottico della nazione italiana, il prototipo dell’antigiacobinismo, fustigatore dei pericolosi sognatori di palingenesi sociali, sempre dimentichi della realtà e della funzione storica delle masse. Alcuni commentatori lo hanno accostato a Burke e a de Maistre, altri a Constant e a Tocqueville. Nel secondo dopoguerra, gli epigoni di Croce ne hanno fatto il padre spirituale del pensiero liberaldemocratico italiano. Gramsci, che ne ammirava il genio, oltre a considerare il Saggio storico un documento impressionante della vittoria moderata nell’Otto­cento italiano, rese ancora una volta celebre il concetto di rivoluzione passiva, elaborato da Cuoco, applicandolo al .Risorgimento: un concetto fortunato dunque, – conclude Ferrone – che però, guarda caso, piaceva tanto anche ai reazionari borbonici, in quanto smascherava finalmente il mancato consenso popolare alla rivoluzione napoletana. Infine, quel continuo riferirsi al popolo, ai suoi bisogni troppo spesso scordati dalle èlites intellettuali, alla sua funzione storica, intrigò allo stesso tempo personaggi di destra, come Volpe e Gentile, che vi coglievano il profetico invito alla nazionalizzazione delle masse nel segno del fascismo, e autorevoli intellettuali comunisti che, nei decenni successivi, proprio in virtù di questo ossessivo quanto generico richiamo al popolo, amavano sottolineare la concreta natura ri­voluzionaria del pensiero del molisano.”.3

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